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I Vincitori di Andaras 2022

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Un film delicato ed intimo, intenso nonostante sia così breve. I fotogrammi immobili trasmettono l’idea della gabbia mentale in cui è intrappolato il protagonista, ma allo stesso tempo evocano una realtà con un movimento a sé. Il film scorre in modo diverso, proprio come la vita del suo protagonista, la cui condizione è immortalata in modo così chiaro attraverso poche poetiche pennellate.

 

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Grazie alla semplicità dell’impianto narrativo e registico L'Asino che Vola riesce a perseguire con successo il suo scopo divulgativo.

La storia di un uomo, una nazione, un mondo, che seppur lontani si fanno metafora dell’intera condizione umana; ricordandoci che l’anelito alla libertà è e sempre sarà imprescindibile da essa.

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La delicatezza dell’incedere della storia trascina lo spettatore in un viaggio quasi onirico, che lo rende testimone apatico di una vicenda a tratti insostenibile per la sua brutalità. Una ricerca estetica basata sulla disciplina regala una composizione e una fotografia ricche, ma mai retoriche, capaci dunque di emozionare senza dover raccontare le emozioni.

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Un divertentissimo viaggio in una natura oscura e minacciosa per trovare l’entità che dovrà risolvere il più grande problema del protagonista, pronto a tutto per liberarsi di una presenza ingombrante nella sua vita.

Nulla però è gratis, e il prezzo da pagare è la scoperta che dai propri demoni non si può in alcun modo sfuggire.

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Il soggetto sarebbe potuto essere trattato con molta retorica, ed invece il lavoro va premiato anche per come viene presentata la protagonista e per la decisione di avere una macchina da presa non intrusiva ma delicata. E sono la forza e la dignità che si respirano in quest’opera; un’estetica che coincide con la drammaturgia e con sapienza manda un messaggio al mondo che va sostenuto ed ascoltato.

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La storia mozzafiato di un uomo che per avere la libertà di esprimersi trova il modo di rifugiarsi nel più assurdo e terrificante dei luoghi. Un film che fa tremare ed urlare di gioia, girato in maniera talmente straordinaria da lasciare lo spettatore con la domanda: “come hanno fatto?”. Un cortometraggio davvero unico.

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È un racconto poetico, delicato e mai retorico, capace di guardare con occhi innocenti al succedersi delle stagioni, in natura e nella vita. Semplice, non semplicistico, parla di casa, educazione al cibo e umanità. Adattando la chiara finalità espressiva al mezzo tecnico utilizzato per la ripresa, volutamente domestico e consueto come lo smartphone usato in verticale, ha l’apparenza di un ricordo di famiglia. Impossibile, però, da dimenticare, come il profumo delle fragole sulle tavole estive.

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Con infinite, turbinose, immaginifiche fantasmagorie di forme e linguaggi porta a riflettere sul nostro contemporaneo: fluido, incoerente, permeabile, che subordina la realtà alla costruzione di uno dei tanti, possibili, racconti effimeri che la descrivono. Con grande capacità narrativa, perizia tecnica ed efficacia formale, espone il rutilante processo creativo capace di condizionare la percezione e manipolare il pensiero di persone ridotte a clienti; consumatori di un cibo privato di valore, che non è più altro che merce.

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Per la chiarezza del messaggio, per l’evidenza con cui mette a confronto realtà lontane eppure sempre più simili nella difficoltà di dover combattere siccità e fenomeni atmosferici estremi, per la limpidezza della denuncia di un cambiamento climatico che mette a rischio anche territori finora risparmiati.

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Per aver suscitato emozioni, empatia e consapevolezza delle emergenze globali più inquietanti dell’ultimo decennio – il cambiamento climatico e le divisioni – attraverso la bellezza della musica e la meraviglia magica dell’animazione.

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Perché toccherà a loro, ai ragazzi di oggi, salvare il mondo dai guai fatti da nonni e papà; e perché dal contrasto tra l'ingenuo ottimismo del bimbo e il cupo scetticismo del vecchio, possiamo trarne elementi di speranza per quel che sarà.

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Grazie ad una serie di inquadrature ipnotiche ed accattivanti, You Can’t Automate Me offre uno spaccato della vita sconosciuta dei lavoratori che legano i container nei porti. Una carrellata di storie personali, corpi e animali clandestini vagamente connessi tra loro conferisce un tocco di umanità all’ambiente lavorativo alienante descritto e il tutto si fonde in una storia che è innovativa, creativa e meditativa allo stesso tempo.

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Un documentario davvero motivante e toccante, con un messaggio molto chiaro e potente. E’ un’incredibile storia di grande determinazione, coraggio e passione raccontata attraverso occhi pieni di tatto e rispetto. La spontaneità del protagonista contribuisce a creare un’atmosfera intima e a far emergere il suo motto ancora più forte. Non solo si tratta di un lavoro straordinario, ma costituisce anche l’esemplificazione del significato più profondo di viaggiare: spingere i limiti sempre oltre, per scoprire di più di noi stessi, del mondo e per ispirare gli altri.

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Per la capacità di raccontare un personaggio con il quale si creano un’empatia e una solidarietà che accompagnano lo spettatore durante la scoperta di un’esistenza derelitta, e per il sapere ribaltare la narrazione mostrando un lato inaspettato e oscuro di quello stesso personaggio, trasformando il film in un sorprendente revenge movie.

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L’affascinante storia di una donna alla vigilia del suo matrimonio combinato, raccontata senza alcun dialogo, con una narrazione autentica e commovente; è proprio la totale mancanza di dialoghi che rafforza il tema centrale: l’impossibilità per le donne di avere voce nel decidere del proprio futuro. Una condizione in cui si trovano moltissime donne al giorno d’oggi.

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Una narrazione semplice, lineare nel tracciato dell’urgenza poetica che vuole condividere. Quanto cioè sia non solo importante l’educazione ma quanto poi faccia sognare ed elevare nel modo migliore possibile. Anche un grande omaggio alla poetica di Abbas Kiarostami, non solo esteticamente, ma anche per come i personaggi vengono delineati e le storie si dipanano.

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È il racconto vivido di alcuni dei mali più impalpabili di cui soffre il genere umano nell’era della digitalizzazione: la solitudine e lo smarrimento. Temi resi grazie alla scelta di soggetti, inquadrature e all’ottima interpretazione degli attori che hanno ben documentato come il cibo, in una società privata del senso di comunità, dove le relazioni si sfaldano e si dissolvono, non rappresenti più un profondo legame tra l’uomo e la terra ma piuttosto una merce confezionata da utilizzare come da istruzioni. Con un finale dallo straordinario valore umano e interiore, dove in quell’ultimo cibo è riposta una speranza di salvezza per l’essere umano. 

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